Stefano Vignaroli's Store

mercoledì 21 settembre 2011

Scontro nel sottosuolo

Un violento scontro nelle viscere della terra


Adriano trovò la porticina metallica al di là della quale si aprivano le stanze delle Terme Romane, infilò la chiave nella serratura, ma la trovò forzata. Spinse la porta, che cedette facilmente, cigolando.
Stai in campana, Adriano, qualcuno è passato di qui prima di te!
Infilò gli occhiali per la visione notturna e li regolò per avere anche la visione di eventuali tracce termiche.
Se qui dentro c'è anima viva, non mi sfuggirà, fosse anche un piccolo topo.
Avanzò cautamente, l'intuito gli suggeriva la strada da seguire. Era come se sapesse già quale cunicolo o quale corridoio dovesse prendere ad ogni diramazione che trovava. Il sudore gli si stava cominciando a gelare addosso. Si fermò, depose la sacca che aveva con sé, in cui aveva riposto alcuni attrezzi che pensava potesse essergli utili, cercò un fazzoletto e si asciugò come meglio poté.
Uno squittio, una traccia termica che si muoveva a zigzag.
Un topo, niente di preoccupante.
Con non poca ansia addosso, raggiunse la sala della piscina termale. Un odore fetido, di putrefazione, lo assalì. Nessuna traccia termica, nessuna anima viva. Decise di tirar fuori la torcia elettrica dalla sacca e guardare le cose ad una luce più naturale che non fosse di quel colore verdastro a cui si era assuefatto negli ultimi minuti. Puntò il fascio di luce sulla superficie dell'enorme cisterna piena d'acqua, soffermandosi su un punto dove galleggiava uno strano fagotto, un mucchietto di panni zuppi di acqua. Si avvicinò e, anche senza toccare nulla, si rese conto che quel mucchietto di panni avvolgeva un cadavere che, a giudicare dal fetore, era lì da ormai parecchio tempo.
Chi ha cercato di precedermi sembra non aver fatto molta strada. Chi sarà questo impiccione? Credo, spero proprio, che gli unici che possano aver attraversato tutto il canale siano stati Vladimiro e Maria Lucia. Li ritroverò dall'altra parte.
Senza indugio, senza liberarsi dei vestiti e senza preoccuparsi troppo dell'acqua fredda, si tuffò nella vasca. Superò il ribrezzo che provava nei confronti di quel cadavere galleggiante e si immerse. In un secolo di vita non aveva mai provato la respirazione subacquea tramite le branchie. Adesso notava con piacere che, nonostante il prolungarsi dell'immersione, non sentiva la fame d'aria, i suoi globuli rossi erano perfettamente ossigenati. Non aveva più neanche indossato gli occhiali da visione notturna, tanto era sicuro che l'istinto, il suo istinto genetico, lo avrebbe condotto all'astronave madre. Ad un certo punto una biforcazione del canale che stava percorrendo, lo pose dinanzi a un dilemma: destra o sinistra? Fece appello, più che al suo senso dell'orientamento, al ricordo di quanto gli aveva detto Vladimiro anni prima.
Il canale di destra dovrebbe condurre verso la necropoli dell'Erbarella. Andrò verso sinistra.
Un lieve movimento dell'acqua nel canale alla sua destra attirò la sua attenzione. Poi più niente.
Forse ci sono dei pesci.
Se avesse avuto indosso ancora gli occhiali avrebbe potuto notare due tracce termiche riferibili a due esseri umani.
Emerse finalmente con la testa fuori dell'acqua. Guardando in alto vedeva il cielo azzurro attraverso un buco tondo. Era in fondo al pozzo di Villa Brandi.
Ci sono quasi. Devo immergermi di nuovo per raggiungere la base del pozzo. Non dovrebbe essere difficile.
Con qualche difficoltà a contrastare la spinta che l'acqua imprimeva al suo corpo verso l'alto, raggiunse la porta della camera stagna, la aprì, si infilò al suo interno, fece defluire l'acqua ed entrò nell'astronave madre.
Al suo ingresso, alcune fotoelettriche si accesero immediatamente. Si guardò intorno e cercò di rendersi conto della situazione. Le celle di ibernazione erano tutte ermeticamente chiuse.
Strano, la Alfa e la Beta dovrebbero essere vuote!
Su un lettino, collegata a pompe da infusione e apparecchiature per la respirazione assistita, una donna con un evidente enorme pancione, giaceva in un sonno artificiale.
E' Maria Lucia, pronta a sfornare i due gemelli che ospiteranno gli spiriti di Alfa e Beta per il secolo a venire. Devo svegliarla dal coma. Ma come fare? Non c'è un manuale di istruzioni qui?
Si avvicinò alla consolle di comando. I monitor in stand by si riattivarono non appena Adriano sfiorò una tastiera. Osservò quella tastiera. I tasti non erano contrassegnati da lettere classiche, ma da quelle dell'alfabeto greco. Si fece forza, pensando che in gioventù aveva frequentato il liceo classico e conosceva il greco antico. Il greco moderno, come l'arabo e l'ebraico, lo aveva imparato durante la sua permanenza a Gerusalemme. Non si rese neanche conto di quello che stava succedendo, concentrato com'era a capire qualcosa sui comandi da impartire. Il computer era impostato automaticamente per la disibernazione di Alfa in quel preciso istante. Nella sua goffaggine, Adriano riuscì ad impartire al computer l'ordine di disibernare anche Beta. Le due celle di ibernazione si aprirono. Il primo a riprendere conoscenza fu il Professor Whu, che resosi rapidamente conto della situazione, prima ancora che Vladimiro si risvegliasse dal gelido torpore, si lanciò verso una rastrelliera contenente degli Shinai, bastoni di bambù utilizzati per combattere il Kendo, un arte marziale giapponese. Perché quei bastoni provenienti dalla sua terra fossero lì, Fumihiko non lo sapeva, ma conosceva bene il loro utilizzo, grazie al quale avrebbe eliminato tutti i presenti in quell'ambiente, compresa la donna incinta, dopo di che si sarebbe potuto dedicare indisturbato al contenitore delle preziose nanomacchine. Mentre stava per abbattere lo Shinai sulla testa di Adriano Zandri che, girato di spalle, non si era ancora minimamente accorto di nulla, una perentoria voce femminile lo fece fermare.
“Fermi tutti, Polizia, siete tutti in arresto. Mani bene in vista, e...”
“Ya... hiiiii!”
Un inaspettato colpo di Shinai le fece volar via la pistola che teneva tesa avanti a sé, stretta tra le due mani. La poliziotta si abbassò, con una piroetta raggiunse la rastrelliera, prese un bastone Shinai, maneggiandolo come se non fosse la prima volta che lo faceva. Iniziò una furibonda lotta tra la donna e il giapponese. La poliziotta fece roteare il bastone di bambù sopra di sé, mirando un colpo mortale verso la gola del giapponese, che parò il colpo. Inizio un fuoco di fila di colpi da parte della donna, ognuno parato con maestria da Fumihiko. Quando quest'ultimo ritenne che la sua avversaria fosse fiaccata dalla stanchezza, passò dalla difesa all'attacco. Dall'involucro del bastone di bambù, con un veloce gesto sfilò un'affilatissima spada samurai, la Katana. Sollevò la spada sopra la testa dell'avversaria, per abbattervela. Se il colpo fosse andato a segno, la testa della poliziotta si sarebbe spaccata in due come una zucca e il suo materiale cerebrale si sarebbe sparso per tutto il piccolo ambiente in cui si trovavano. Ma lei fu svelta a capire il meccanismo per sfilare la spada dal bastone Shinai, e parò il colpo. Le lame, a contatto fra di loro, fecero scintille. Un nuovo fuoco di fila di colpi da esperta spadaccina si abbatté su Fumihiko che, senza perdere concentrazione, riusciva a parare ogni stoccata. Con un'abile salto mortale all'indietro, il giapponese riuscì ad evitare l'ennesimo fendente, provocando lo sbilanciamento della donna. Con un colpo deciso riuscì a disarmarla, facendole volare lontano la Katana, e portando la lama della sua affilatissima spada a contatto della pelle del collo della poliziotta. Era finita: un colpo secco e le avrebbe fatto volar via la testa.
“Ka... Yiiii!”
Il giapponese fu fermato all'ultimo istante da due possenti individui. Uno gli aveva afferrato il braccio che brandiva la Katana, mentre l'altro gli puntava la canna di una grossa Magnum alla tempia.